In quella notte del trionfo d'Amorevoli e della Gaudenzi, preveduto, ne siamo quasi certi, dal primo, e per nulla aspettato dalla seconda; tanto che, non sapendo darsene una spiegazione a sè stessa, ne richiese, piena di meraviglia, lo stesso tenore che non le seppe dir nulla (poichè se arrivava a comprendere il motivo per cui egli era stato così festosamente accolto dal pubblico, non riusciva a capacitarsi perchè anche la Gaudenzi dovesse avere una porzione di quegli applausi prodigati in via straordinaria); in quella notte adunque la falsa diceria degli amori della ballerina col tenore, aperse a tutta prima una profonda ferita nel cuore di donna Clelia; chè la gelosia, stranamente immaginosa nell'inventar sospetti, anche allora che nessun fatto vi dà argomento, aveva trovato in quelle voci il naturale suo pascolo; pur tuttavia, per la relazione spontanea della stessa passione ajutata dal desiderio, a poco a poco si lasciò persuadere dagli interni ragionamenti a creder false tutte quelle voci, e si veniva così rassicurando e quasi consolando; chè l'idea del gravissimo pericolo in cui ella si trovava in faccia al marito, e in cui si trovava la sua fama in faccia al mondo, se il vero si fosse scoperto, dopo il primo spavento, erasi quasi del tutto dileguata; tanto l'amore è imperterrito. Ma la sventura volle che un cavaliere, di quelli che in teatro esercitano l'officio di gazzettino orale e, raccolta una notizietta alla porta, la sparpagliano di palchetto in palchetto col cinguettio d'una cutrettola, volle dunque la sventura che colui entrasse da lei, presente il conte ex-colonnello, a raccontarle che il Pretorio in quella sera stessa aveva mandato d'ufficio un invito cortese alla Gaudenzi, affinchè per il giorno susseguente dopo mezzodì volesse aver la compiacenza di recarsi nelle sale della giudicatura per essere sentita intorno ad un fatto in cui essa poteva avere qualche parte.
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