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      L'arbitrio dell'autorità costituita tenne allora le veci della giustizia; il diritto storico fu così onnipotente, che il diritto razionale e naturale parve davvero un'utopia di filosofi sentimentali e innamorati, per adoperar la frase di un moderno statista dalla pelle di cuojo; come pare anche oggidì a qualche sincretico legista, che dalla memoria sterminata e prevalente su tutte le altre facoltà dello spirito, ebbe guasto l'intelletto e contaminato il cuore. Quel periodo adunque di Carlo VI contrassegnò la massima prevalenza del ceto patrizio. Chi non era nobile era una bestia, non tollerabile se non in quanto serviva come un cavallo o come un bue; e se appena appena si rivoltava per l'istinto inalienabile della difesa, o sbizzarriva per insipiente indocilità, tosto veniva tolto dal corpo sociale come pericoloso e infesto. Il Senato poi che, sotto il dominio spagnuolo (non sono parole nostre), corredato nella sua istituzione di somma autorità, si reputava maggiore del Governo stesso; per cui la vita, la libertà, la fortuna d'ogni cittadino, erano abbandonate al potere illimitato di lui, che si credeva sciolto dai rigidi principj di ragione, e solea dire che giudicava tamquam Deus; sotto Carlo VI vide più ancora accresciuta l'autorità propria, e perchè le istituzioni mantenute in vigore da chi è innamorato di esse, non ponno a meno d'invadere un campo maggiore di quello che primamente era loro stato conferito; e perchè inoltre, negli anni di Carlo VI, non si presentarono governatori così prepotenti come quei di Spagna, a respingere l'arbitrio coll'arbitrio, ed a farsi beffe del tamquam Deus.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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