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      Per quanto durante la notte, nell'imperversare di un affanno, riesca impossibile di chiuder gli occhi al sonno, v'è pure un momento, vicinissimo all'alba, in cui è convenuto che si debba dormire; ma quel momento pare che, da un genio squisitamente acuto nell'inventar mezzi a tormentare l'umanità infelice, sia stato introdotto apposta fra il confine della notte e del giorno, perchè appunto, al risvegliarsi dopo un fuggitivo, più che riposo, assopimento, sia ancor più cruda la fitta del dolore.
      Felici coloro che non ebbero mai nella vita uno di questi quarti d'ora micidiali! Ma se la contessa Clelia, in cinque lunghi lustri, non ne aveva provato neppure uno, ne sentì per la prima volta l'amarezza in quel mattino, in cui il sole di febbraio entrato, come una punta che scatti, da un angolo della finestra, attraversò la stanza da letto, e a guisa di una lancia luminosa, venne acremente a ferirla negli occhi. Ella si svegliò in soprassalto, si alzò sul guanciale, girò gli occhi intorno, e, stata un istante in pensiero, mandò un sospiro amaro; uscì dalle coltri pesanti, e si vestì senz'ajuto di cameriera, che chiamò poi, dando una lieve e lenta strappata al campanello; e mettea la lentezza in tutto quello che faceva, perch'era irresoluta, e voleva e disvoleva, e pensava e ripensava più cose ad una volta. La cameriera entrò in silenzio, in silenzio l'acconciò, chè il tumulto e l'amarezza dell'animo erano sì evidenti nel volto della contessa, che nessuno avrebbe osato parlarle se non per rispondere alle interrogazioni; e in silenzio sarebbe partita, se, quando fu per uscire, la contessa non l'avesse chiamata per nome:


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





Clelia