Quando tra una mano di persone v'è una grande allegria e una gran vena di motteggio, riesce penoso, non si sa bene perchè, il farsi tra di loro non chiamato: e Lorenzo, che pur conosceva que' compagnoni, stette un momento in forse per tornare indietro, ma si fece poi animo e bussò forte. - Avanti, avanti, avanti, - gridarono più voci ad una; ed egli entrò...
- Oh!! benvenuto, signor Lorenzo...
- Benvenuto.
- Benvenuto... signor capitano degli archetti; le presento qui, nel nostro pittore Gazzetta, un buon suonatore di violino, il quale giacchè le fabbricerie lo lasciano senza lavoro, vorrebbe ritrovarsi in orchestra.
Chi parlava era il giovane Londonio, la cui figura dovendo comparire a più riprese, in mezzo alle tante che popoleranno il nostro quadro centenario, è bene si sappia quello che ancora non è stampato in nessun libro, come cioè, nato in Milano nel 1723 (e fin qui ci arriva anche il Ticozzi nel suo Dizionario de' pittori), fosse discendente di una famiglia originaria spagnuola, che si chiamava Londognos, feudataria di Ormilìa, un ramo della quale s'era stabilito in Lombardia al tempo della dominazione spagnuola, quando per la prima volta vi capitò un cadetto, in qualità di generale delle truppe spagnuole. Questo Francesco Londonio, quantunque non avesse che 22 anni quando ricevette la visita del signor Lorenzo Bruni, era già noto come pittore di soggetti campestri; ma ciò che allora ne costituiva davvero la rinomanza nelle società alte e basse, era la sua amenissima giovialità, per la quale avrebbe sparsa l'allegria anche tra le file di un mortorio; pensatore di bellissimi trovati, a chi ne faceva, a chi ne prometteva, onde se egli era un amico carissimo, qualche volta riusciva pure un amico molesto; ma quanto era temuto, altrettanto era cercato, e si moriva di noja senza di lui, in tutti quei convegni dov'era solito praticare.
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