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      - Va bene, ma io gli ho promesso... insisteva l'oste, e in quella entra il signor podestà in persona, e tanto fa e tanto insiste, che io non posso dire di no. Voi sapete che, per quanta ira uno possa avere in petto, in certi momenti non si trova il modo di scacciare un seccatore. Ma quando fummo soli, non potendo resistere all'idea di dover dormir con un altro, con un podestà... e tondo e grasso qual era colui di Chioggia... non so se voi lo conosciate (diceva rivolto al Bruni), pensava al modo di disfarmene, perchè aveva anche un gran sonno, per aver ballato tutta la notte al ridotto di san Moisé, e così nel pensare, guardando il soffietto che pendeva da lato del camino, mi viene un'idea, e tosto, rivolgendomi all'amico, sì gli dico: - Signor podestà?
      - Cosa mi comanda?
      - Ho a farle mille scuse anticipate.
      - Di che?
      - Di questo, che vado soggetto a un grave incomodo.
      - Ed è?
      - Una febbre acuta, la quale mi ha messo in fin di morte sin da fanciullo, mi lasciò un vizio, un gran vizio.
      - Ebbene?
      - Vo soggetto a quelli che si chiamano i venti freddi.
      - Una malattia nuova.
      - Nuovissima, e chi ha la disgrazia di dormire con me ci soffre, ma assai. - Ora che cosa avreste fatto voi se foste stati il podestà?
      - Darvi la buona notte, e andar via.
      - Così pare almeno; ma il podestà fu di un altro parere, e metà credulo e metà no, entrò per il primo in letto. Allora io non feci altro che seguirlo, e, così mezzo vestito, mi cacciai sotto coltre, armato di soffietto, e spensi il lume. Lasciai che il podestà dormisse della grossa, e poi misi in movimento il mantice.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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