Allora il conte, rispettosamente ammiratore della contessa, diventava il suo despota e il suo tiranno; e per dare, a modo d'esempio, il permesso alla moglie di non intervenire all'ultima festa del carnevale, dove tra le dame più cospicue si compiva l'ultima e più fiera battaglia di eleganza e di ricchezza, bisognava che la moglie fosse stata assalita, per lo meno, da una encefalite fulminante. Il conte era della famiglia di quel tale che, piuttosto che infrangere un cerimoniale, volle morire asfissiato da un braciere.
Fatto adunque il viso più severo che per lui fosse possibile alla moglie, e pronunciate quelle parole più irrevocabilmente di ferro che per lui si potevano, passò nella sala dov'era la madre della contessa, una sorella e un fratello; e tutto aspro:
- Donna Gertrude (disse alla madre), la si compiaccia di recarsi un istante da sua figlia, la quale pare che abbia volontà d'inquietarmi.
- Che cosa?... Che è avvenuto? rispose donna Gertrude, maravigliata di veder così a rovescio il conte, il quale per consueto, sebbene un po' duramente, le si era sempre dimostrato cortese; ma in quella entrava la contessa.
- Preghi il conte, mamma, a permettermi di non uscire; perchè sto male, male assai.
Il colonnello non seppe allora più contenersi, e strepitò, senza però mancare alla sua gravità.
Ma in quel punto il fratello di donna Clelia si alzò, e di queto le disse non so che parole all'orecchio.
A quelle parole piegaronsi i ginocchi alla contessa, e si gettò a sedere.
La madre e la sorella si guardavano.
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Gertrude Gertrude Clelia
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