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      L'auditore lo guatò bieco, senza far motto.
      - Siam tutti di carne umana, soggiunse poi Lorenzo sempre più indispettito, e non è detto che una nobil dama non possa avere una qualche debolezza... il signor auditore mi perdoni la parola.
      - Non è più questa la cosa di cui si tratta. Già nel primo esame avete scagliato abbastanza vituperj contro il rispettabile ceto patrizio.
      - Io non ho offeso nessuno. Ho detto solo che una povera fanciulla non doveva portar la pena delle colpe altrui, e che, mi perdoni il signor auditore l'amore della verità, la giustizia non doveva avere nessun riguardo alla nobiltà della signora contessa; e dal momento che non aveva dubitato d'interrogare tutte le donne che possibilmente avean avuto parte nel fatto, non c'era nessuna ragione per cui dovesse omettersi precisamente quella, sotto alle cui finestre era succeduto l'arresto del signor Amorevoli. Se gli uomini che tengono il sacrosanto mandato di rappresentare la giustizia avessero fatto il loro dovere, io non mi sarei trovato al punto di offendere la legge. Questo solo ho detto e dovevo dire, per mostrare, d'altra parte, che se ho dovuto ricorrere a un mezzo proibito, fu per un fine retto.
      - Un fine retto?... esclamò allora l'auditore rompendo le parole all'accusato; rispondete, ora a questa domanda: - Chi ha fatto scomparire dalla sala, dal teatro e dal palchetto la nobile signora contessa, di cui non si è ancora potuto scoprir traccia?
      Questa domanda riuscì così improvvisa e inaspettata al povero Bruni, ch'ei ne rimase colpito, e tanto più in quanto d'un colpo d'occhio ne misurò tutta l'estensione pericolosa.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





Lorenzo Amorevoli Bruni