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      - Ma quelle parole del servitore, - Scommetterei che è stato il Galantino - parole che erano scomparse affatto dalla memoria della contessa, le si riprodussero tali e quali, alla vista di lui in Venezia, come quando torna a dar fuori una macchia untuosa non ben lavata dalla saponaria. Non gliene avrebbe però mai fatto motto in quel dialogo, se il Galantino non l'avesse stuzzicata con quella baldanza (e qui fece un errore indegno di lui), baldanza che una dama di condizione non poteva sopportare. Dopo tutto, convien confessare che la contessa si comportò con più fermezza e colpo d'occhio di quello che si sarebbe potuto aspettare; onde ci pare non sia sempre vero che lo studio della scienza dei corpi celesti tolga agli intelletti la facoltà di saper distrigarsi bene anche delle cose terrestri.
      Intanto però il Suardi aveva avuto tempo di ricomporsi, e insieme col colore che gli era tornato sulle guancie, gli ritornò anche in petto la fidanza; per la quale riprese di nuovo il fare squisito del gentiluomo che aveva dimenticato per un momento con tanto suo danno.
      Pur troppo un piè messo in fallo può balzare dall'amenità di un luogo montano in un precipizio.
      - Signora contessa, disse poi, ella mi fa torto, o, per dir meglio, ella fa torto a sè stessa, dando luogo a sospetti di simile natura. Che ho a far io col defunto marchese F...? che interessi mi legano a lui? poichè, se non mi fu riferito il falso, credo che si tratti di un testamento...; ella dunque vede bene, signora contessa, che egli è vero ch'io fui il suo lacchè, e che, se quel signore ebbe qualche vanto al mondo, fu per aver avuto il primo lacchè di Lombardia a' suoi servizj, ma ciò non fa ch'io sia un suo parente.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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