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      Fornito d'oro, egli conduceva le cose in modo da tenere il banco di sovente; ed era un tagliatore di tanta destrezza che in pochi giorni erasi messo insieme una bella sommetta. - La notte a cui ci troviamo con questa narrazione, era la terza d'aprile, ed egli più del consueto era stato favorito dall'audacia e dalla fortuna: onde, in sull'alba, quando uscì da quell'umile caffè, dopo aver bevuto una tazza d'appio, volle assaporare il piacere d'una passeggiata solitaria, spingendo uno sguardo allegro in seno all'avvenire, e scorgendovi già, di mezzo alla nebbia rosata, prospettive di palazzi con macchiette di parassiti intorno a sè, e cocchi e cavalli e tutte le grandezze della vita. Se ne veniva così per ponti e per calli, guardando sbadatamente case ed altane, e sogguardando alla sfuggita le portatrici d'acqua pienotte, già in volta a quell'ora; fin che riuscito al campo Santo Stefano, volse il passo alla casa ove dimorava; ma in quel punto scorse due uomini appoggiati al muro, due uomini che non avrebbe voluto vedere, perchè eran due cappe nere del palazzo Ducale. Diede una rapida occhiata all'intorno, e vide non molto lungi due guardie che passeggiavano, facendo d'occhio di tanto in tanto alle due cappe. - Così queste come le guardie potevano trovarsi là per tutt'altro, ma il Galantino sentì la certezza che aspettavano lui; gli era come quando uno si sente colto da un malore anche lieve durante un morbo contagioso; che in quel malore, provato spesso senza turbarsi, sente con isgomento il sintomo fatale.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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