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      Poco prima delle due tutti i commensali eran raccolti all'albergo. Alle due fu dato in tavola. Vi sedevano la nuova prima donna, il nuovo primo tenore, il nuovo primo basso. Il primo violino direttore d'orchestra, il maestro Giambattista Lampugnani, compositore e concertatore; i rappresentanti di tutti gli ordini della gerarchia teatrale. Il pranzo principiò in silenzio, si animò a mezzo, si riscaldò poscia; prima cominciarono a parlare alcuni, poi ad uno ad uno entrarono tutti gli altri col sistema precisamente degli stromenti d'orchestra; e col sistema del crescendo rossiniano, allora nemmen sospettato dai maestri, quantunque fosse un modo spontaneo della combinazione dei suoni, tutti si confusero finalmente in quel poderoso e strepitoso unisono che compromette il timpano degli orecchi delicati. Quando poi corse il moscadello e il monterobbio, e le idee nei cervelli riscaldati cominciarono a far la ruota, non vi fu più ritegno nè di parole nè d'allegria.
      - Viva il tenore Amorevoli!
      - Viva il re dei tenori!
      - La simpatia delle platee.
      - Dite piuttosto dei palchetti.
      - Ah mio caro Amorevoli amoroso, saltò su un tal Frontino, secondo tenore, un po' esaltato, tu porti il nome con te e dovunque tu vada, quando non fai da Giasone, fai da Paride e fai da Enea... Ah diavolo che tu sei, ti ho seguito un pezzo per tutti i primi teatri e d'Italia e di fuori... e dappertutto hai sempre fatto l'effetto d'un tizzone gettato in una polveriera... Ti ricordi a Roma... ti ricordi a Napoli... Oh, a Napoli.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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