- Ghe piasela sior? disse il gondoliere quando vide il nostro Amorevoli fermarsi estatico sulla scalea. No la xe mai stada a Venezia, ela?
- No, caro mio.
- E ben, la fazza conto che no i xe qua tuti i so tesori, come se vorave da qualche foresto invidioso... Me credela, sior?
- Perchè non ho da crederti?
- Se vostra zelenza me permetese, gh'avarave vogia de compagnarla mi a veder le maravege de la zittà.
- E vieni, alla buon'ora... ma prima accompagnami all'albergo... al migliore... capisci tu?...
Il gondoliere invitò il suo viaggiatore a rientrare in gondola, e lo condusse allo Scudo di Francia.
- Vieni a pigliarmi colla gondola fra un pajo d'ore, che intanto debbo dar sesto alle mie robe. Tu mi hai faccia da galantuomo, e avrò bisogno dei tuoi buoni servigj... e così dicendo diede al gondoliere una mancia oltre al convenuto.
Il gondoliere vi gettò un occhio di traverso; fu contentissimo e partì.
E tosto Amorevoli, da un cameriere che non era di Venezia, ma parlava l'italiano coll'accento di chi è nato in Francia, fu condotto in una bella camera al primo piano che rispondea sul rio...
- Le piace quest'alloggio?
- Va bene sì... ma...
- Che?
- C'è qualcosa qui presso che non manda buon odore... Io ho le nari, caro mio, assai delicate e permalose... e vorrei...
- Signore, mi permetta di dirle una cosa... A Venezia c'è tutto di grande, di bello, di buono, ma bisogna avvezzarsi all'odore della laguna. Tutte le città hanno il loro difetto... vorrebb'ella che Venezia ne fosse senza?... A Roma vien la terzana a chi va fuori sulle ventiquattro.
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