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      Lasciamoli dunque andare. E noi vediam d'abbandonarci a qualche digressioncina, secondo il solito.
      Noi siamo dunque ammiratori entusiasti della città di Venezia. Basta il dire che la nostra fortuna è che Venezia non sia una donna; diversamente chi sa che tremende pazzie avremmo commesso per amor suo. A dare una prova di codesto amore sviscerato, chi, per esempio, a voce e in scritto ha lodato più di noi il suo mese di maggio? Dappertutto questo mese è tenuto in grande riputazione, e i devoti lo chiamano perfino il mese di Maria, tanto è soave e benefico. Con tutto ciò a Milano il mese di maggio, nel suo carattere verace e completo, non lo si conosce che per relazione e in teoria, e per quelle nozioni che si attingono dai poeti classici greci e latini, i quali, imbalsamati come erano dal vento che soffiava dal mare Argolico o dal porto di Ostia, poteron gustare il maggio in tutto il suo splendore; ma in pratica, almeno per quanto ci consta, Milano non sa che cosa sia un tal mese, e non trova in esso che la più completa contraddizione alle descrizioni dei poeti. Invece a Venezia è tutt'altro. Venezia è la madre adottiva non solo del chiaro di luna, ma sì anche del maggio; e noi possiam dire d'aver fatto la conoscenza di lui soltanto sotto il suo cielo! Almeno, nei due anni che vi passammo, quel mese fu d'una eleganza così greca, d'una mollezza così orientale, che non potremo dimenticarlo così facilmente. Se non che, mescendosi all'eleganza, come dicemmo, la mollezza, il maggio di Venezia è un mese pericoloso.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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