Lord Byron, che faceva i suoi computi a seconda del meridiano di Londra, trovò essere il giugno il men puritano dei mesi; ma noi, cresciuti in plaga più mite, siamo stati obbligati a fare il trasporto di trenta giorni. È a Venezia, pur troppo, almeno secondo la nostra esperienza, è nel mese di maggio che l'uomo, riscaldato dal sole di una primavera orientale, e circonfuso dalle molli aspergini marine, prende somiglianza del baco, il quale pasciuto e sazio di foglia, s'irretisce lieve lieve nel serico filo, aspettando di eromperne farfalla. In quanto poi all'anno 1750, il mese di maggio veneziano cominciò appunto co' più lieti pronostici del suo limpido sole, del suo cielo trasparente e dell'aure sue mitissime, attraversate di quando in quando dall'afrodisiaco scirocco.
Però anche alla contessa Clelia, non avvezza al clima veneziano, più che mai parve balsamica in quell'anno la stagione primaverile; e confrontandola alla consueta di Milano, le sembrò tutt'altra cosa; di modo che parlandone ai signori che la ospitavano:
- A Milano, ella diceva, la primavera è la stagione in cui s'accumulano tutti i disastri delle altre, e sebbene anche laggiù la si debba chiamare la gioventù dell'anno, è una gioventù infelice, travagliata e disperata. Quasi quasi, se non fosse per le buone speranze che dà, sarebbe da posporsi alla vecchiaja.
Da queste parole si vede che, anche prima del taglio delle foreste, le primavere milanesi non eran le più accreditate neppure nel secolo passato; tale almeno era l'opinione e l'esperienza della contessa Clelia.
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