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      Con lui stava discorrendo l'amico suo Tiepolo, quegli che di stupende macchiette gli ornava le prospettive animandole di vita e rendendole più importanti per lo studio dei costumi e delle foggie. Il Tiepolo era tornato di fresco da Milano, dove avea dipinta la vôlta della maggior sala in casa Clerici. De' letterati, v'era il Gozzi Gaspare, e il senatore Seghezzi, il quale stava in quel punto presentando all'Algarotti un fanciullo di undici anni, autore in quella così giovane età di due o tre poesie in dialetto veneziano, che aveano fatto il giro della città. Ed era quel Gritti che doveva poi riuscire nel vernacolo veneziano ciò che il Maggi era stato nel milanese. Ma di tutti mancava il primo, mancava il Goldoni, il quale era andato a Torino a mettere in iscena il Molière. L'Algarotti dava belle e graziose parole a tutti, ma con quel fare di affabilità convenzionale che, se indispettiva fieramente Carlo Gozzi, non piaceva troppo nemmeno al più mite Gaspare, che giuocava di scherma coi complimenti onde il conte gli era cortese riguardo alla fondazione di quell'accademia de' Granelleschi che, fin dal 1740 iniziata per celia e portando sempre la maschera della matta giovialità, nel fatto era però diventata il conservatorio della buona lingua italiana.
      - Ella, signor conte, mi dà lodi che son dovute ad altri, così diceva Gaspare Gozzi. Ecco il vero fondatore dell'accademia, il suo massimo sostegno, il suo principe perpetuo; e dalla schiera circostante, pigliando pel braccio un pretino rachitico, lo presentò al conte dicendogli:


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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