Povera infelice Clelia, gettata e trattenuta dalla fortuna tra un amante fatale e un marito funesto, in una terribile vicinanza e dell'uno e dell'altro; dell'uno e dell'altro, che pure coraggiosamente e fortemente avea fuggiti.
Almeno coloro che si picchiano il costato per ogni nonnulla, e sono inesorabili accusatori delle debolezze altrui, le vogliano tener conto, per tutto quello che potrebbe succedere in avvenire, di questa prima violenza usata contro sè stessa!
Chè anzi, nel punto ch'ella guardava la luna, stava precisamente compiendo contro sè medesima una seconda violenza. Se donna Clelia fosse cotta e stracotta dal desiderio di rivedere Amorevoli, lo pensino i giovinotti che non hanno ancora venticinque anni e che, per un occhiata, sì, per un'occhiata (anche noi abbiamo avuto i nostri verd'anni!) farebbero due volte di notte, non che una, il traverso dell'Ellesponto; lo pensino le fanciulle che non hanno innanzi agli occhi che un unico oggetto; lo pensino anche le donne che hanno più di venticinque anni e son compromesse in qualche pericoloso contrabbando, mentre la guardia di finanza batte la campagna. Donna Clelia dunque, ci rincresce dirlo, ma la verità è una sola, desiderava di vedere Amorevoli con un ardore, con tale ardore, che noi amanti della buona bottiglia e della coppa di manzo, non possiamo nemmeno concepire. Tuttavia, con sì smisurato ardore nell'animo, non si mosse dalla sua camera, e resistette agli inviti della moglie dell'illustrissimo conte Alvise Pisani.
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