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      Fu per cadere, sì le forze le mancarono, a quella vibrazione sonora, e dovette appoggiarsi al servo.
      Applausi frenetici seguirono quel do privilegiato, che aveva il dono della forza insieme e della soavità. E il recitativo continuò, e venne la cadenza alle parole Numi, consiglio, in cui la nota tenuta di un si bemolle di prodigiosa limpidezza e, come dicono i maestri, di argentina sonorità, attraversò gli spazi dell'aria, e non pareva voce da uomo, no, ma quella bensì di un essere soprannaturale, incaricato di dar qualche buona notizia ai mortali.
      Insistiamo su codeste qualità della voce d'Amorevoli, in prima perchè i suoi contemporanei ne parlano come d'un fenomeno non mai più udito; poi per far comprendere ai lettori che non v'è nulla al mondo di più penetrante negli umani petti di una voce in quella chiave; intendasi sempre quando è bella, perchè non bastano i soli suoni a renderla pregevole. Molti uomini storici denno ascrivere la loro fortuna all'avere avuto in dono una voce in chiave di tenore. Il re Davide sarebbe stato trapassato dalla lancia di Saulle impazzito, s'egli non lo avesse placato col sol, col la e col si d'una soavità arcangelica. Eginardo lo storico fu per la stessa ragione se invaghì Emma, la figlia di Carlo Magno. Rizio e Monaldeschi erano tenori di mezzo carattere, e innamorarono due regine. Sarebbe però stato meglio per loro l'aver avuto tutt'altra voce, chè probabilmente sarebber morti in pace al loro letto. Ma ciò non significa nulla contro il nostro assunto.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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