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      Mi sento chiamar.
     
      E intanto, confuso
      Nel dubbio funesto,
      Non parto, non resto -
      Ma provo il martire
      Che avrei nel partire,
      Che avrei nel restar.
     
      Dove appar chiaro come i fervori della passione congelassero nell'anima fredda di Metastasio in tante formole precise e quasi aritmetiche, avverse al genio della poesia e del dramma.
      Ma la musica di Vinci aveva l'abbandono e lo slancio e il sentimento che mancava a quelle strofe; e Amorevoli vi mise nel renderla la duplice virtù dell'arte più squisita e dell'animo il più ardente.
      Donna Clelia, come i battimani rintuonarono nei cortili:
      - Or si può ascendere, pensò, e fatto lo scalone, entrò nelle sale.
      I servi di casa Pisani, che la stavano aspettando, mossero a dimandare il conte padrone, che accorse tosto a riceverla.
      Preceduta da lui fece l'ingresso nella maggior sala. Il fremito dell'applauso e dell'entusiasmo recente che ancor durava là entro, cessò di colpo alla sua comparsa, e vi successe un profondissimo silenzio. Tutti gli occhi furono fissi in lei. Il conte Pisani, per toglierla dall'imbarazzo in cui la vedeva impigliata, si volse tosto al conte Algarotti dicendogli:
      - Ecco la contessa Clelia V..., de' cui talenti avete sentito a parlare. E l'Algarotti si alzò e venne a sedersi vicino a lei. Anche il doge la guardò da lunge, con atto di affabilissima cortesia, e parve dirle:
      - Ci parleremo dopo con maggior comodo.
      La contessa intanto, rispondendo macchinalmente alle gentilezze del conte Algarotti, guardava di furto allo scompartimento dell'orchestra, dove Amorevoli era investito dalle congratulazioni de' suoi colleghi: da Luchino Fabris, dall'Aschieri, dalla Turcotti, dal P. Vallotti, che nella sua severità gli batteva una spalla in atto di protezione; dal violinista Tartini, uomo di febbrile vivacità, che ad attestargli la sua soddisfazione gli andava squassando un braccio.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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