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      Infine, venuto maestro di cappella al Santo di Padova, vi fa un sogno che lo esalta sino alla pazzia e gli fa scrivere questa suonata che or ora udrete, e che si chiama del Diavolo.
      - Ma come fu?
      - Sognò d'aver fatto un patto, e che il diavolo era al suo servizio. Però gli diede a suonare il proprio violino, per vedere quel che il diavolo ne avrebbe saputo fare, e ne udì tal cosa che lo fece trasalire. Risvegliato per così violenta sensazione, dà di piglio al violino per ripetere quel che aveva udito, ma non seppe riprodurre, com'egli asserisce, che il trillo del diavolo a piè del letto. Il resto non è che una composizione di sua fantasia, e una variazione su quel tema, ma è certo la più bella di quante ne ha scritte sin qui.
      A questo punto il maestro Galuppi si mise al pianoforte, e facendo scorrere due o tre volte le dita sulla tastiera, richiamò l'attenzione dell'uditorio, il quale fece un silenzio profondo, quando Tartini col violino e coll'arco comparve al parapetto dell'orchestra.
      Nel tempo che Tartini faceva correr l'arco sulle corde e regolava i bischeri, l'Algarotti ebbe campo di sfoggiare la sua dottrina archeologica sulla genesi del violino, confutando Aristofane e Ateneo che fecero il violino coevo ad Orfeo, e confutando quelli che lo vollero inventato dagli Indiani e donato all'Italia dalle crociate; e piantandosi nell'opinione che vuole il violino figliuolo dell'occidente, e probabilmente del principato di Galles, e trascorrendo sui varj tramutamenti della sua forma, dalla viola primitiva, alla viola da braccio, a quella da gamba; i quali a lungo andare generarono poi in Francia il piccolo violino.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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