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      Essi avran fatto le maraviglie a vedere il doge parlare in tanta dimestichezza, e quasi da privato, alla contessa. Ma delle terribili apparenze dell'autorità la Repubblica facea conto nelle gravi bisogne della patria, e non in tutte le circostanze della vita pubblica e privata. D'altra parte la serenissima, è forza confessarlo, non era più quella de' secoli antecedenti. La lettera degli statuti era intangibile, ma le costumanze s'erano venute attiepidendo. In una parola, s'era messa anch'ella in cipria e parrucca ad onta del canal Orfano e del Ponte de' Sospiri, che sono gli spauracchi perpetui de' drammaturghi stranieri e de' nostrali che scrivono per gli anfiteatri.
      Tornando ora al doge e alla contessa, essendosi mostrato il P. Vallotti a batter la solfa, perchè doveva aver luogo, a chiuder l'accademia, un suo coro fugato, si disgiunsero con atto di reciproco rispetto.
      E il coro fugato venne eseguito tra gli sbadigli dell'adunanza, chè esso stava alla musica come il Pape Satan Aleppe alla poesia, sebbene Tartini lo ammirasse e ne fosse compunto.
      A notte alta le sale a poco a poco si vuotarono. Quando Tartini si volse per cercare Amorevoli, questi era già scomparso; scomparso prima che la contessa uscisse dalla sala.
     
     
      XI
     
      Abbiamo lasciato il conte V... e il giovane Angelo Emo intenti ad adempire alle prammatiche preliminari di un duello: di questo mezzo assurdo di riparare le ingiurie, il quale, nato in seno alla barbarie, si è prolungato insino a noi, e vi s'è piantato in guisa che moralisti e filosofi e legisti non arriveranno forse mai a sradicarlo del tutto.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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