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      Così il duello, nato spontaneamente in seno a popoli barbari, come un mal frutto d'una mala pianta, fu innalzato all'onore di sistema scientifico dalla civiltà, per cui l'errore insegnato dalle cattedre accrebbe i modi e i mezzi delle offese. Bensì quarant'anni prima del tempo in cui il nostro conte colonnello dovette accettare il guanto dal giovane Angelo Emo, quell'autorità dei vecchi legisti era stata messa in brani da un grande e coraggiosissimo ingegno, dal marchese Scipione Maffei, col suo libro della scienza cavalleresca, a cui appose il bel motto nos nostra corrigimus; e quel libro fece senso in Italia e fece senso in Francia, e trovò sostenitore del nuovo assunto Rousseau; e forse Luigi XIV, forte della sapienza dell'uno e dell'altro, multò il duello colla pena di morte, e instituì il tribunale de' marescialli; e il suo successore accrebbe nell'applicazione la severità alla lettera stessa dell'editto. Ma per quanto in quegli otto lustri si fosse fulminato e scritto e parlato contro il duello, il duello era tuttavia all'ordine del giorno; chè il prestigio del coraggio e dello spregio della morte consigliava indulgenza agli stessi esecutori della legge; e più spesso, non potendosi infrangerne il dettato, se un duello avveniva a dritta, l'autorità, come vedemmo, guardava a sinistra.
      Nè pur in codesto fatto, nei cento anni che sono decorsi, non si può dire che siasi fatto un progresso. Sussiste ancora il prestigio del coraggio, sussiste ancora la falsa idea dell'onore. Ed anzi crebbero i sofismi e le sottigliezze e i sotterfugi della mente nel cercare i modi di salvare l'onore senza nemmeno fare appello al coraggio.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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