Torbido com'era, e pur non avendo nessun proposito bene deliberato in testa, discese all'albergo, e, ripartito, andò alla casa Salomon dove aveva in animo di recarsi fin dalla prima sera, ed erasi indugiato, assalito, come il lettore sa, da cento pensieri in battaglia. Nè cosa volesse fare, ei lo sapeva nemmeno, dopo ventiquattr'ore; bensì, per determinarsi, quando fu là, percosse due o tre volte col martello la porta che rispondeva alla parte di terra.
Le imposte si spalancarono, e si mostrò il guardaportone.
- Non è in casa nessuno, diss'egli, senz'attendere che il nuovo venuto parlasse.
- Nessuno?
- L'ho già detto.
- Allora aspetterò fin che venga qualcuno.
- Quando non c'è nessuno in casa, ho l'ordine di non lasciar entrar anima viva, signore.
- Non c'è nemmeno l'illustrissima contessa V... di Milano?
- Nemmeno. Ma anche allora ch'ella è in palazzo, gli è come se non ci fosse; e non riceve nessuno, nessuno affatto.
- Ciò va bene. Ma io sono il conte suo marito, venuto espressamente da Milano, e devo e voglio e ho il diritto d'entrare.
- V. S. illustrissima mi perdoni, ma debbo tenere gli ordini. Io poi non so che V. S. illustrissima sia davvero...
- E credi tu ch'io voglia vendermi per quello che non sono? Va là in malora e lasciami entrare, ch'io stesso parlerà a' tuoi padroni e alla contessa. E così dicendo sforzò, a così dire, l'ingresso; ed entrò in quel lungo androne che, nelle case di Venezia, mette in comunicazione la parte di terra con quella del rio.
- Signore, questa è una violenza di cui il padrone, che è senatore.
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