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      - Taci, e bada a te, che nemmeno il diavolo basterebbe a farmi uscire di qui, non che un senatore; e ho nelle valigie il tuo padrone e la tua Repubblica e il Senato e il doge e il corno.
      Così dicendo, calcato in testa il cappello a tre punte filettato in oro, abbottonatosi il soprabito turchino da viaggio, ch'era lungo fino agli orli degli stivali e aveva il bavaro pur filettato in oro che copriva le spalle, misurava a gran passi quell'androne colla grande e grossa figura; spingendosi di tanto in tanto fin sul primo gradino della scalea verso il rio a guardare a dritta, a sinistra, a porger l'orecchio, a stare in ascolto se mai venisse qualcuno; poi tornava a passeggiare innanzi e indietro, facendo risuonare sotto la vôlta lo sgarbato scricchiolio de' suoi stivali forti.
      Ed or lasciamolo passeggiare a sua posta, chè noi dobbiamo ritornare al palazzo Pisani fra i gondolieri schiamazzanti, a piedi delle scalee, nei cortili interni, ad assistere al passaggio delle belle veneziane, e a dare il braccio alla contessa Clelia per ajutarla ad entrare in gondola e ad adagiarsi sotto il felze.
      Scendevano dunque tutte a quell'ora dallo scalone di casa Pisani le ultime e più cospicue beltà patrizie convenute all'accademia. E precisamente s'eran trattenute le ultime per un tacito accordo della loro ambizione e della loro civetteria ad accrescer l'ansia de' giovani cavalieri, aspettanti in due schiere sotto l'atrio che esse facessero loro la carità di qualche occhiata. Discendeva la contessa A..., quella che possedeva gli occhi più grandi e più glauchi in tutto l'estuario veneto.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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