Quando la contessa fu seduta, l'attuario, dopo avere scorse alcune carte e guardato con significazione in faccia all'illustrissimo signor capitano, quasi a dire, siamo a tempo? incominciò l'interrogatorio dal consueto punto di partenza, domandando cioè alla contessa se ella sapeva la cagione per cui era stata citata in giudizio.
- La cagione, rispose donna Clelia, l'ho saputa ieri dalla venerabil donna Paola qui presente, ed è tale che mai non avrebbe potuto esser materia di una congettura a chiunque non sia offeso nella mente.
(Dal costituto che abbiam sott'occhio crediamo bene trascrivere le precise parole pronunciate dalla contessa, le quali, per una nota apposta in calce dall'attuaro signor Bignami, siamo avvertiti essersi voluto trasportarle e conservarle per intero nel processo verbale.)
Dopo quell'esordio, rivoltasi la contessa al signor capitano:
- Or io domando a vostra signoria illustrissima, soggiunse, se mi dà licenza di parlare con libertà.
Il capitano con atto benevolo accennò che dicesse. Allora la contessa incominciò; e un auditore, intinta la penna nel calamajo, si mise a scrivere come sotto dettatura.
- Più vo pensando al fatto per cui sono qui, disse la contessa, meno so farmi capace delle cagioni che possono avere spinto questo tribunale a credere, anche per un momento, alle deposizioni infondate di un costituito notoriamente malvagio, già più volte venuto nelle mani della giustizia e più volte, credo, punito.
L'illustrissimo signor capitano interruppe a tal punto la contessa. dimostrando come la deposizione a cui essa alludeva non aveva già ottenuta fede, ma bensì aveva costretta la giustizia a non trascurare nemmeno quel filo, per quanto potesse parere assurdo, trattandosi di una causa della più grande e delicata importanza.
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Clelia Paola Bignami
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