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      Soltanto possiamo dire che, allorquando il prete uscì, il maggiordomo che lo attendeva alla porta per leggergli in volto e penetrargli l'anima, non vi potè legger nulla; o, diremo più giusto, non vi notò altro che quell'abituale tranquillità del sacerdote che ha fatto il suo dovere; ed anzi quella tranquillità era tale che se la sentì trasfusa in se medesimo. In quanto a noi, volendo avventurare qualche congettura, regolandoci con quello che avvenne dopo, ci pare di poter sospettare, che il conte fosse al punto di fare al sacerdote la rivelazione intera d'ogni cosa; ma la combinazione fatale avendo voluto che in quel punto la voce dell'unico erede gli suonasse all'orecchio, quella bastò per impietrargli il segreto in gola. L'indomita ambizione e il pensiero della grandezza del casato perpetuata nel figliuolo, fu più forte d'ogni altra angustia, e tacque; vogliamo dire, è assai probabile che sia avvenuto così, perchè, del rimanente, ripetiamo, non sappiam nulla di preciso.
      La mattina successiva, sacerdote e dottore furono al letto del conte; e il malore, durante la giornata, progredì al punto che, nel dopo pranzo, fu indispensabile accorrere col Viatico, in vista del quale, coi cappelli devotamente levati, ci staccammo da quella schiera di giovinotti avventori del caffè del Greco. Ma come essi per raccoglier novelle della salute del conte F... lasciarono il palazzo del Capitano di Giustizia; a noi conviene invece ritornare di necessità in quel luogo, nell'aula degli interrogatorj.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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