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      Il presidente, com'era di pratica, accennò che facesse; e il segretario lesse adagio adagio il rapporto, facendo, quel che in musica si direbbe, delle appoggiature sui punti che costituivano le saglienze della tesi; ed esponendo il voto del capitano con una chiarezza particolare, che potea significare la deferenza dell'egregio signor segretario per quel voto medesimo.
      Finita che fu una tale lettura, prese la parola il senator M ...tone che era decano.
      Dopo il senator Morosini, svizzero ticinese (perchè i senatori, come già notammo, si eleggevano da tutte le città e capiluoghi del Ducato ed anche da altre città fuori del Ducato stesso), il M...tone era il più caldo partigiano della giustizia armata di cavalletto e di scure, onde propendeva al rigore, non per l'indole perversa, ma per quell'impulso che viene da ciò che oggi si chiamerebbe l'arte per l'arte. Per di più non essendo di Milano, non era in gran dimestichezza col patriziato milanese e però non era nè intrinsico nè conoscente del conte F... Questi elementi dovevan dunque farlo presumere più propenso che mai al voto del capitano di giustizia. Ma forse perchè non avea avuto torto il popolo milanese, quando col suo senso comune vendicatore lo aveva ferito, avventandogli l'aculeo di quella strofa che già abbiamo accennato in addietro; v'era probabilmente una ragione per cui la spinta naturale in lui si trovava in lizza con una controspinta avventizia. Del resto, comunque fosse la cosa, egli cominciò a parlare cercando di giustificare i motivi che dovevano aver provocato il voto del capitano, ma conchiuse, dichiarando che non trovava gli estremi per decretar la tortura al costituito Suardi.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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