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      Se dunque stette perplesso e quasi pauroso di quanto egli stesso aveva fatto allorchè sentì prorompere il Galantino con tanta sincerità di sdegno, è facile a comprendersi. Se non che, a confortarlo ne' suoi dubbj e nelle sue ansie, entrò qualche momento dopo nella sala stessa degli interrogatorj il senator Morosini; colui che propugnava la tortura, non per una convinzione scientifica al pari di Gabriele Verri, nè per considerarla una fatale necessità della procedura criminale, ma per una di quelle arcane voluttà della mente, anzi del senso viziato, che pur talvolta si riscontrano in individui non affatto pervertiti e talvolta, come nel caso nostro, persino onesti; una di quelle arcane voluttà onde si spiega il fenomeno di qualche fanciullo che si gode a denudar la farfalla delle sue ali, o a spennare il pulcino vivo, o a percuotere fieramente in sull'aja il pollo in fuga. Tale era il senator Morosini. Egli veniva in carrozza al palazzo del Capitano di giustizia ogni qualvolta trattavasi di qualche bel caso di tortura. Compiacevasi a far egli stesso le parti d'auditore e d'attuaro, abilissimo come era a gettar scaltre insidie negli interrogatorj; più abile a farle riuscire, accennando agli stessi aguzzini i modi dell'atroce arte loro; press'a poco al pari di un maestro di musica (ci fa ribrezzo l'apatica e spietata similitudine, ma un carattere dev'essere messo a nudo tutto quanto), al pari dunque di un maestro compositore che all'orchestra imponga e faccia sentire gli accelerati e i rallentati.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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