- Quello che ho detto ripeterò sempre, rispose il costituito, perchè è la pura verità, e sfido qualunque prepotenza a farmi dire quello che non è.
- Prepotenza di chi? domandò blandamente il senatore, sebbene fosse per indole focoso.
- Di chi ha la forza, e l'adopera per tormentare chi non l'ha.
- Ma che ostinazione è la vostra, soggiunse allora con lentezza quasi soave il senatore, di non voler confessare quel che manifestamente risulta dai fatti e dalle deposizioni di testimoni giurati?
- Che cosa risulta? vostra signoria illustrissima mi illumini, perchè da quello che io so e ho l'obbligo di sapere non risulta nulla, nulla affatto contro di me, e sino ad ora non sono che la vittima di una maledetta calunnia. Io sono accusato d'aver rubate delle carte al marchese F... ma chi può asserirlo? chi m'ha visto a rubarle?... Dove sono questi pretesi testimonj?
- Se qualcuno v'avesse veduto, caro mio, non farebbe bisogno di mettervi alla tortura. Sareste condannato addirittura come convinto. Ma voi avete detto una bugia... asserendo di trovarvi altrove nella notte del furto mentre eravate a Milano. Però se avete negato questa verità secondaria, vuol dire che avevate interesse a negarla... Dunque se si procede oltre, è perchè colla vostra ostinazione voi stesso comandate la severità alla giustizia.
- Io ero a Venezia otto giorni prima della settimana grassa, e ripeto che chi dice di no è un bugiardo infame.
- E questo è quel che si vedrà, soggiunse l'attuaro.
Allora il senator Morosini parlò sottovoce al capitano.
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