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      La natura del Galantino era tristissima, il lettore ne ha delle prove per fin soverchie; ma avendo il dono di una mente svegliata, questa di tanto in tanto mandava sul cuore di lui un raggio benefico, che lo rendeva migliore. Si addomestica il leone e l'orso nero, perchè un certo loro istinto d'intelligenza permette all'uomo di ammansarne la ferocia. Ma l'orso bianco è implacabile, perchè è il più torbido di tutte le fiere. Il Galantino tristissimo aveva pur pensato a cercare e della Baroggi e del figlio suo. Il conte Alberico invece, dopo un pugno d'oro concesso per forza, li aveva lasciati alla loro miseria.
      Ben è vero che il Galantino più di tutti doveva misurare l'infortunio di quella madre e di quel figlio. Ma il conte Alberico sapeva pure che il defunto marchese ne era il padre, sapeva pure che un testamento era stato scritto a suo favore, sapeva pure che quel testamento era stato trafugato, e che credeva che fosse distrutto; sapeva pure che la fortuna, il solo giuoco della fortuna aveva messe a sua disposizione le ricchezze che avrebbero dovuto appartenere al figlio Baroggi. Ma una volta che si sentì protetto e salvo e assolto dalla legge, e che la legge avea alzato un muro di divisione tra lui conte e il Baroggi finanziere, non pensò mai che dalle sterminate sue rendite che ascendevano a lire milanesi seicentotrentamila, poteva levarne, senz'accorgersi, una lievissima annata, che pure avrebbe bastato a sostentar due vite e a stornare la maledizione dal capo dello zio defunto, e da quello del padre e dal proprio.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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