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      Forse, da che ci sono al mondo conventi di monache, è la prima volta che un decreto della magistratura ingiunge ad una truppa di giovinetti armati e caldi d'acquavite, di entrare tra la santità e l'innocenza, come se fosse in caserma; non s'è mai sentito che il pastore il quale ha in custodia le pecore si confidi alle volpi ed ai lupi per guardarle dai cani. Non c'è che dire. L'autorità ha perduta la testa... ma conviene approfittare di questo capogiro, di questa ubbriachezza non mai udita, perchè scommetto che ciò non sarà mai per avvenire una seconda volta. Ora tornando a noi, la novità del caso metterà una tal confusione nella testa di quella povera badessa, e di quelle semplici e buone suore maestre e coadjutrici e sorveglianti, che le monache e le monachelle giovani e le educande si spanderanno per i corridoj e per i cortili con un gusto matto. Tu un momento fa hai parlato di puledre: ebbene... metti che il fuoco s'appigli ad un fenile, e da quello ad una scuderia. È già molto che i palafrenieri pensino a salvar la pelle, senza tener dietro ai cavalli che, rotta la catena e la cavezza, si spanderanno per la città con trotto vivace e allegro, e coi nitriti della libertà. Ho tenuto conto di tutto, e il mio piano non è una pazzia.
      - Quasi.
      - La possibilità della riuscita c'è, e ciò mi basta. Dunque cosa intendi di fare? Bada intanto che è un affare d'urgenza e non c'è tempo da perdere.
      - Non so che dire... io non mi prendo questo impegno.
      - Che?
      - Dite quel che volete, chiamatemi ingrato.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507