Le ventiquattro erano passate, e gią stava per compirsi l'ora che ad esse succedeva. Il sole primaverile illuminava per caritą qualche camerotto al quinto piano, dove degli estremi raggi stava approfittando con ansiosa sollecitudine qualche povera cucitrice, la quale voleva compir l'orlo di qualche camicia per risparmiare i tre soldi della popolana candela di sego. In quell'ora, nella chiesuola del monastero di San Filippo, nella parte ch'era segregata dal pubblico, erano discese la madre badessa, le suore maestre, le monache semplici, le converse, le incipienti, e il drappello delle educande. Il mantice dell'organo veniva caricato d'aria da due grosse e ottuse converse; intanto che, quasi a provare la quantitą d'aria che era entrata nelle canne, e la propria valentia nell'arte, una mano percorrendo agilissimamente i tasti, ai profondi suoni della canna maggiore, con netta e rapidissima decrescenza, faceva succedere il sibilo acuto e flautato della canna ottavino. L'organo, come al solito, dava in sulla parte della chiesa aperta al pubblico, e i pochi che a quell'ora erano intervenuti, guardando attraverso la griglia di legno che dal parapetto dell'organo si alzava fino a due terzi della canna maggiore, vedevano per la luce di due ceri, i quali erano accesi al disopra della tastiera, muoversi tre teste. Ed eran le teste della suora maestra di canto fermo e d'organo, e di due fra le allieve pił distinte in quell'arte. Di queste due, quella che, seduta alla tastiera, sbizzarriva colla mano velocissima, era la giovinetta Ada.
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San Filippo Ada
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