Ed io, che cosa volete? mi diedi a piangere anch'io dirottamente. Forse vedendo me fanciullo presso mia madre, più insopportabile erale ricorsa l'idea della sua figliuola smarrita; forse pensando che io era il figlio di quel Bruni che era stato la cagione d'ogni suo disastro, e fors'anco associandosi il pensiero di mio padre coi fatti di tanti anni prima e col pensiero di Amorevoli; di nuovo, per tutto questo cumulo di memorie e di dolori e d'affetti, sentitasi a lacerare il cuore, la disperazione s'impadronì di lei e le lagrime le sgorgarono a furia. Questo ho pensato molti anni dopo, perchè allora io non ho saputo che piangere. Mia madre non avrebbe mai dovuto ricondurmi innanzi a quella infelicissima donna. Ma pochi sono così esperti del cuore umano e degli umani dolori da conoscere quelle squisite delicatezze onde si rompe la via a nuovi affanni. Così dunque passò quel giorno, e venne l'ora che mia madre ed io uscimmo di là; fu nel punto in cui v'entrava l'avvocato Strigelli che ho sentito a nominare; quello appunto mandato a chiamare molto tempo prima.»
Staccandoci intanto dal nostro buon Giocondo Bruni, il racconto del quale, per quanta cura gli abbiam messo intorno a conservarlo nella sua evidente ed affettuosa semplicità, ci accorgiamo di aver non poco guastato, torniamo a ripigliar la parola noi medesimi.
L'avvocato Strigelli, giovine di venticinque anni, era l'occhio diritto del decrepito avvocato Agudio. Quando entrò, sapendo naturalmente ogni cosa ed avvisato inoltre dal servo che la contessa era arrivata e che aveva voluto morir di dolore alla terribile notizia, si contenne come voleva la circostanza.
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