Nel tempo che succedeva questa amorevole intervista, stettero in silenzio tutti i commensali dell'Imbonati, intenti a guardare le festeggiate, commosse a tanta benevola accoglienza. E mentre si faceva silenzio, in quel punto si sentiva il vasto e vario rumore che l'aria vi portava da tutti i punti della città. La scena era grandiosa e interessante tanto per l'udito che per la vista. La maestosa mole del palazzo Marino era illuminata dalla luna. In quel tempo non era ancora stata edificata, a toglier la prospettiva del tempio di san Fedele, quella casa che nel 1814 doveva poi essere l'orrida scena di un gran delitto pubblico; però la piazza, se si eccettui il palazzo della Bella Venezia, stato costrutto in seguito dall'architetto Zanoja, offriva press'a poco l'aspetto d'oggidì: l'aspetto di una gran sala a cielo scoperto, solenne ed elegante pei due cospicui edifici, senza contare la facciata di casa Imbonati che presentava linee grandiose e ricchezza di ornato, linee e ornato che scomparvero nel ristauro che se ne fece molto tempo dopo.
Ma la carrozza passò oltre, e giù per san Raffaello se ne venne al Duomo, e giacchè il cocchiere aveva come a dire l'itinerario e quasi la nota dei luoghi dove aveva a far le fermate, deviò verso Camposanto dov'era un altro banchetto che meritava una distinzione, quello della scuola degli scultori, la quale aveva sede precisamente in quel luogo. A quella mensa insieme cogli scultori si trovaron alcuni architetti. Tra i primi v'era il Franchi e il Bussi, e con essi un fanciullo di nove in dieci anni, Angelo Pizzi, che lavorava in qualità di garzone scarpellino per la fabbrica del Duomo, e che avendo poi mostrato uno straordinario ingegno per l'arte figurativa, invece di fermarsi a far gli spigoli alla pietra di Viggiù e al granito, era destinato a competere con Canova, e forse a superarlo nel ritrarre in apoteosi e in dimensioni gigantesche la figura di Napoleone ottimo massimo.
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