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      Noi ci troviamo nella condizione del cavallerizzo che attende nel circo ai giuochi romani. Ei comincia con due cavalli, poi sottentra un terzo, poi un quarto, poi due d'aggiunta, e un altro, e due altri ed altri ancora, finchè si trova aver tra le mani un grosso manipolo di redini refrattarie e quasi insensibili alla mano, con dodici o quattordici cavalli da far correre nell'arringo, col pericolo di stramazzare ogni momento, e di vedere qualche indocile corridore uscir dal sistema e trascinare i lunghi freni per la polvere olimpica ad impacciare la corsa, e ad assicurargli le fischiate del caro Pubblico che guarda all'esito e non alle difficoltà superate, e ne ha tutte le ragioni.
      Ma, tirando innanzi, se la società cangiò faccia, e il pensiero umano fu tutto messo sottosopra, il resto ha seguito le sue sorti. Le vesti, le foggie non sono più quelle d'una volta; le mura stesse della città non sono più quelle. - Molti edifizj scomparvero, altri ne sorsero di nuovi. - Un galantuomo, defunto nel 1750 o nel 1766, risuscitato per incanto, non avrebbe più trovato modo di raccapezzarsi passando in quella mattina di marzo per la via della Scala. - L'antica chiesa era scomparsa; trent'anni prima avrebbe letto, passando per di lì, sulla facciata di essa, o un Pax vobis, o una Indulgenza plenaria, o un Pregate per l'anima, ecc., ecc. In quel dì invece, alzando la testa, avrebbe dovuto far le meraviglie vedendosi innanzi un gran teatro, con un gran portico, con un gran terrazzo, con un frontone greco-romano chiudente in bassorilievo un Febo auriga che sferza i cavalli.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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