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      Come il lettore sa benissimo, il teatro prima dell'ora della rappresentazione non era illuminato che da due povere fiamme ad olio, le quali spargevano un pallido albore per tutta la vastità del vaso; albore ajutato in gran parte dai cerini, che i seduti in platea avevano accesi, per potere intanto passar la noja dell'aspettare col leggere il programma del nuovo ballo di monsieur Lefèvre. - Veduta quella scena dall'altezza del loggione, intorno intorno al quale era stipata la moltitudine due volte repubblicana, pareva come di vedere un'acqua stagnante e cupa, in cui si riflettessero le stelle senza l'aerino del cielo; o meglio un pavimento a traforo, da cui trapelassero qui e qua delle fiammelle. - Ma anche il loggione, nella sua dignità repubblicana e nella sua avversione d'istinto al terzo stato che sedeva in platea, ad onta dell'albero della libertà e della cambiale non girabile dell'eguaglianza, volle fare a gara con lui e accese i suoi cerini sugli orli del parapetto.
      Senonchè l'illuminazione suppletoria fatta dalla platea e dal loggione si consumò colla lettura del programma, e vi fu un momento in cui tutto ritornò nel bujo crepuscolare di prima, il quale durò più di un'ora. Il signor Giocondo Bruni che, per essere amico dell'impresario e del coreografo Lefèvre, e del primo violino per i balli, signor Giuseppe Peruccone, detto Pasqualino, aveva libero accesso in teatro, vi si recò a tutto suo agio, verso quell'ora appunto in cui dovevano tardar pochissimo ad entrare i suonatori in orchestra e a popolarsi i palchetti, e a scattar fuori le fiamme della ribalta.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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