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      Perciò, giacchè tutti erano contenti, io assistevo in pace all'allegria generale. Così dunque camminavan le cose, e non mancavano che tre dì a quello stabilito. La sera del terz'ultimo io vado in casa Pietra. Mio padre era con me. Mi ricordo di quella sera come se fosse adesso. Entro in sala, e, dopo aver data un'occhiata in giro, mi faccio tosto all'orecchio di mio padre, e gli dico: Che cosa diavolo è successo? Mio padre non rispose, ma aveva capito anch'esso che c'era qualche novità. Quando entrammo, c'era il marchese F..., la contessina, donna Paola, donna Clelia, l'avvocato Strigelli, tutti quelli, in conclusione, che ci dovevano essere. E tutti parlavano, e tutti erano tranquilli, e non mancavano nemmeno i sorrisi. Chi insomma non era pratico della casa e dell'indole delle persone, non avrebbe avuto a fare osservazioni di sorta. Ma noi che avevamo assistito alla giovialità eccessiva sviluppatasi nel marchese alcuni giorni prima; noi ci accorgemmo precisamente che il marchese parlava per parlare e sorrideva per obbligo di galateo, ma era manifestamente impacciato e preoccupato; del che accortisi gli altri, per consenso necessario erano preoccupati e impacciati del pari. Quando una conversazione procede per la sola virtù legale dei reciproci riguardi, si prova un gran desiderio di trovarsi altrove. Pare che l'avvocato Strigelli fosse di questo parere, perchè di repente si alzò, accusando di essere chiamato altrove per oggetti della sua professione, e nel tempo stesso guardò mio padre, come a dirgli: Usciamo insieme.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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