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      Mi ricordo che, allorquando venne a Milano per la prima volta e s'incontrò, nell'aula massima del Senato, nel presidente Motone, guardando all'altissimo topè che colui portava, ebbe, non dubito di così chiamarla, la vile sfrontatezza di rivolgergli queste precise parole: Davvero che voi mi sembrate un buffone. - Questa frase di quel presuntuoso monarca, riferita dai testimonj, e messa in giro per tutta la città, non è a dire quanta indignazione e rancore e dispetto abbia recato in tutti gli animi dei buoni Milanesi; quei Milanesi che pure in molte circostanze avean giudicato con molta severità quel presidente. - Ma, torno a ripeterlo, i Milanesi non potevano biasimare quel loro magistrato; ma dovevano indignarsi, come fecero, quando lo sentirono insultato così vituperosamente da un sovrano straniero.
      «Or tornando al Senato, o meglio tornando al conte S..., candelliere dell'arciduca, in uno di que' giorni in cui tutta Milano parlava della soppressione del Senato, a una festa di Corte, accostatosi a un crocchio di ciambellani che lodavano a cielo quell'atto dell'imperatore, egli investì tutti quanti con parole così acerbe e veementi, da far credere ch'ei non avesse altro desiderio che di esser tradotto in carcere; e tanto più quando prese pel collare inargentato il conte Mellerio, e lo scrollò allegramente allorchè quel ladro in carta bollata ebbe il coraggio di rispondergli con altrettanta veemenza. Tutti dissero allora che il conte S... era alterato dal vino, che era fuor de' gangheri per aver perduto al giuoco, che cercava mille modi di far nascere degli scandali, quasi a vendicarsi di essere stato interdetto dal nuovo Tribunale succeduto al Senato; ma, sia pure come vuol essere, io provo sempre una grande soddisfazione quando penso a quella scena violenta, e mi lodo della fortuna quando considero che, per parlar alto a quel modo, non ci voleva che un uomo di quella tempra.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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