Perfino i figliuoli di Venezia, per consueto innamorati della cara madre al punto da far piegar in passione il naturale affetto del luogo nativo, a Roma dimenticano e San Marco e Canalazzo e Giudecca, e vi conducono in gloriosa e feconda prosperità la parte migliore della loro vita.
Il veneziano Piranesi è così pieno dell'aria, del cielo, del suolo di Roma, da ritrarla con prodigiosa fedeltà, e da farla comparire come per incanto innanzi agli occhi di chi non l'ha per anco visitata.
Canova vive di Roma e per Roma, e qui vince nella gara l'invidioso danese, che in essa dimorò tutta la vita per tentare di rapire la palma al veneziano.
Ma giacchè il rivale di Canova ci fa pensare agli artisti del settentrione, Bruloff e Bruni dalla gelida Neva venuti a Roma, crescono pittori grandissimi nel fecondo tepore del suo cielo, tanto che se l'artista è cittadino di quella patria da cui tiene l'inspirazione e l'esempio, non sono essi che legittimi romani; e Bruloff lo confessava e lo voleva, e il corpo atletico, affranto dal soverchio peso del suo ingegno sterminato, sperò di ritornarlo a salute ricoverandosi, dopo lunga assenza, a Roma, nella fiducia che là soltanto gli soffiasse quell'aere nativo, estremo rifugio delle vite per cui l'arte medica non ha più consigli.
Tutto Cornelius, che alcuni esteti nostrali proclamarono antistite dell'arte contemporanea, quand'era di moda non vedere e non sognar che l'arte e la scienza germanica, e sotto la maschera della scuola e del gusto cercavano onestare la colpevole adulazione e le maledette schiene curvate, tutto Cornelius non è all'ultimo che un rivenditore eclettico dei tesori raccolti a Roma.
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