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      - Mi piacerebbe sentire come si può far ora ad assolvere i Barbari.
      - Col dirvi che i Barbari nel furore dell'avidità ben ponno essersi attaccati all'oro, all'argento, alle gemme, al ferro, al rame, al piombo, alle belle donne, a tutto ciò che volete, ma non alle colonne di granito, non ai massi di travertino, non ai frontoni, agli attici, ai capitelli. Già, tutta la storia delle rovine romane non a caso fu riassunta nel Quod non fecerunt Barbari, fecerunt Barberini. Ma lasciando i Barbari, l'ultimo sacco, che fu il più terribile di tutti e che durò tanto tempo e dischiuse una tal voragine di miseria che ci vollero anni ed anni a porvi riparo, chi lo ha voluto, chi lo tirò in casa? Rispondete a me adesso.
      - Vi rispondo col farvi una domanda. Di chi fu la colpa se in quell'altro sacco?...
      - Qual è quest'altro sacco?
      - Quello del 1798. Quello che, sotto specie di protezione, di beneficio, operarono i rivoluzionari di Francia e d'Italia. Di chi dunque fu la colpa se le più stupende opere degli ultimi secoli adunate in Roma per la magnificenza pontificia; se le più famose statue dell'antichità raccolte ne' musei furono depredate e trasportate in Francia?
      Il giovane milanese, che in tutte le storie contemporanee aveva trovato intorno a quel fatto e relazioni e giudizj sempre concordi, ed egli stesso non sapeva dar ragione a quanti storici e a quanti uomini vituperarono le estorsioni, le rapine, le concussioni, i disordini d'ogni maniera che avvennero di quel tempo in Roma, prima sotto Berthier, poi sotto Massena, si trovò sconcertato a quella domanda improvvisa dell'abate; e andava, tanto per non parer vinto, biascicando una risposta che però si rifiutava ad uscir dalla bocca.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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