La luce della ragione indipendente che, in sul finire del secolo passato, dai pensatori solitarj era passata alle assemblee nazionali, da queste agli eserciti, dagli eserciti alle popolazioni, si spense tutt'a un tratto, per concentrarsi ancora nella chiusa lanterna d'alti pensatori aspettanti con fiducia i tempi migliori. Bonaparte fu il gran colpevole. La risoluzione ch'ei prese contro a Pio VI, ossia contro al poter temporale del papa, quando nel 98 da Roma lo fece portare a Siena, invece di sembrare al mondo, siccome era, il colpo deliberato della sapienza che, confederata alla forza, voleva richiamare una istituzione degenerata alle sue origini primitive, parve un'ingiustissima violenza, allorchè col concordato conchiuso nel primo anno del secolo corrente egli mostrò, o di non aver saputo quel che si facesse, o di pentirsi di quanto aveva fatto. Il mondo in quella fatale transazione imparò a rispettare il poter temporale, al quale s'inchinò sempre più quando vide Napoleone inchinarsi egli stesso al Chiaramonte, per poi ritornare agli atti della prima violenza. Questa ineguaglianza di condotta fu quella, lo ripetiamo, che imbrogliò il pubblico giudizio; perchè i disastri sorvenuti e il grande eroe fulminato, nell'opinione del vulgo, parvero vendette del cielo; e come ai tempi di Samuele e di Saulle, si riputò che Iddio avesse colpito il re della terra che avea osato offendere il suo luogotenente.
Ma qual fu la causa di quella strana condotta di Bonaparte? Quella causa stava intera nel pubblico europeo, che non tutto si era lasciato persuadere dalla parola dei savj, perchè dieci anni non bastarono a mettere in fuga i pregiudizj di dieci secoli, e perchè la rivoluzione delle idee non si era attuata che alla superficie, senza penetrare nella carne, nelle ossa e midollo delle moltitudini.
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