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      E veramente quelle due lettere, considerate oggi nel silenzio del gabinetto, col proposito di non tener conto che del valor delle parole, parrebbero quelle di due innamorati, e per la dolcezza dello stile e per la qualità delle espressioni e per l'espansione delle proteste. Ma quando si pensa da che uomini erano scritte, e in che circostanze, davvero che ci fanno ridere coloro che da esse vorrebbero indurre una reciproca simpatia esistente tra Pio VI e Bonaparte. Se vi fu uomo simulatore, e pronto a fare tutt'all'opposto di quel che diceva e scriveva e prometteva e giurava, fu Pio VI appunto, e ne è prova la prontezza con cui fu sottoscritto l'armistizio di Bologna, e la maggior prontezza onde fu messo sotto i piedi; in quanto a Bonaparte, non ci par vero che, per dare un valor letterale alle parole, si possa dimenticare la preoccupazione ognora vigile di lui a celarsi in perpetuo mistero, per riuscire ne' suoi intenti tanto sicuro quanto inaspettato. Ma, dopo tutto, per dare il giusto valore alla lettera bonapartiana, e per non ingannarsi e non ingannare altrui sulla pretesa propensione di Bonaparte a conservare alla Santa Sede il poter temporale, oltre al fatto delle molte provincie tolte da esso al Papa, il quale basta a toglier di mezzo ogni dubbio; v'è un altro fatto, che rimase tra i segreti passati di bocca in bocca, ed omessi dagli storici o per proposito deliberato o per ignoranza: ed è che egli incoraggiò a perdurare nelle sue sedute il sinodo di Pistoja, aperto molti anni prima dal vescovo de' Ricci; il qual sinodo si proponeva di discutere tutte le questioni relative alla Chiesa romana, tra le quali primeggia quella del potere temporale; e oltre a ciò fu sollecito nell'incoraggiare la pubblicazione di un voluminoso manoscritto, che nel marzo del '96 era stato presentato a Pio VI, intitolato: Disordini morali e politici della corte di Roma, esposti dai difensori della purità della prima Chiesa cattolica; e che infatti venne poi stampato a Siena nel principio dell'anno 1798; nel qual libro, con dottrina non facilmente superabile, e con tranquilla dignità pari a quella dottrina, e con tutti gli attributi di uno zelo intrinsecamente religioso, ad una ad una si passavano in rivista tutte le piaghe della Chiesa, e a ciascuna si suggerivano rimedj salutari, dandosi la parte massima alla questione del poter temporale, che trionfalmente vi era dimostrato illegittimo, assurdo e funesto, con una potenza di argomentazione avvalorata da citazioni infinite, tolte da Gesù Cristo, dagli Apostoli, dagli Evangelisti, dai santi Padri, dai pontefici stessi più benemeriti dell'umanità e dell'Italia e della religione.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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