Però, se va il paragone, Bonaparte fece come chi, credendo necessaria un'inondazione, togliesse gl'incastri di propria mano, per recarsi poi altrove nel punto che le acque irrompono dappertutto, onde non essere costretto a rimediare ai disordini istantanei, persuaso che da questi, lasciando andar le cose a beneficio di natura, sia per generarsi quell'ordine che nessuna antiveggenza e fermezza di volontà vorrebbe mai produrre. Ma per che cosa, domanderanno alcuni, al giovane Bonaparte doveva premer tanto di toglier di mezzo la temporalità del papa, se questa fu ed è una piaga non fatale che all'Italia, e perciò stesso opportuna agli stranieri che vogliono tenerla in soggezione? Una tale questione non potendo essere sciolta risolutamente, è permessa una congettura. Nel primo fervore della gioventù, e nell'impeto primo e spontaneo del genio, e nella sua natura italianamente e romanamente costrutta, Bonaparte deve avere provato per la sua patria vera una simpatia irresistibile, la quale, guidata dal fortissimo giudizio, gli deve aver mostrato la massima piaga di lei, e fattogli sentire il desiderio di sradicarla. Testimonj di vista e di udita, dei quali citiamo un Porro, che fu prefetto del Lario, ci assicurano che a Mombello, nel '97, discorrendo Bonaparte dell'Italia, in un momento di quegli impeti generosi, che, come un lampo, rischiarano un immenso buio e svelano cose nemmen sospettate, egli uscì in queste memorabili parole: - In Italia non devono stare NI FRANCIOSI NI TODISCHI. - parole che, pronunciate risolutamente dalla profonda e rauca sua voce, e in un pessimo e quasi selvaggio italiano, colpirono gli astanti in modo da lasciar loro un'impressione per tutta la vita, tanto in que' detti e nel modo onde furono pronunciati sembrò fremere l'affetto e il dolore al cospetto di una gran patria avvilita.
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