Duce degli uomini di Trastevere era il Camillone, il Ciceruacchio d'allora; quello di cui teniamo parte del Diario, ch'egli dettò per non saper scrivere; uomo tanto amato da quelli del suo rione, e perciò di tanta autorità, che il governo stesso dovette più volte far capo a lui per riuscire a sedare dei tumulti.
Fra gli artisti v'era il famoso Pinelli, giovanissimo allora, ma già di fantasia così potente, così feconda e veloce nell'improvvisazione di disegni istoriati, che quando voleva, lavorando in piazza Navona sotto gli occhi del pubblico e dei tanti forastieri che accorrevano a quello spettacolo per loro insolito, raccoglieva tante monete d'oro e d'argento da empire il proprio cappello; oro e argento ch'egli convertiva poi tosto in tante misure di vino; perchè la sua compiacenza e la sua gloria era di poter dar da bere a tutto il popolo romano con luculliana munificenza. Amico del Pinelli e amico del Camillone, i quali erano come i re confederati di due schiatte diverse, era quel Corona giureconsulto, al quale spontaneamente si trovarono uniti tutti i giovani avvocati e tutti gli studenti, e tutti coloro che eran nati per andare avanti e per affrettarsi a qualunque costo, anche con pericolo di stramazzare e fiaccarsi il collo.
Tutti costoro uniti insieme costituivano buonamente una truppa di cinque o seimila persone, sufficienti, in qualunque città anche popolatissima, a rappresentarla, a comunicarle la propria volontà e il proprio impeto; e a condannare all'inazione e al silenzio tutti quelli che per combinazione non dividessero cogli agitatori le opinioni correnti.
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