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      Che se, messe le cose a un punto ancor più alto e più solenne di veduta, la tarda età del pontefice e le sue infermità corporali si dovessero mettere in cumulo colle debolezze e colle colpe medesime, per farle tutte insieme oggetto di una suprema pietà filosofica; anche in tal caso la pietà non escluderebbe la giustizia; anche in tal caso la condotta di Cervoni sarebbe giustificata dal dovere e dalla necessità. Dovere e necessità che si verificherebbero pur nel supposto che Pio VI fosse stato lo splendore del pontificato, la gloria della nazione, l'onore dell'umanità, perchè non era più la persona del pontefice che entrava in questione, ma sì le condizioni alterate del pontificato che invocavano una riforma; non era già Pio VI a cui si faceva ingiuria, ma era il potere temporale che, sentenziato assurdo e infesto dal voto concorde dei savj, doveva essere abolito per sempre, a beneficio dell'umanità ed a vendetta della stessa religione.
      Se non che, per le ragioni medesime che ci comandano di giustificare il generale Cervoni nel suo colloquio con Pio VI, non troviamo sufficienti parole di biasimo e di condanna per la condotta del commissario Haller che ebbe l'incarico di provvedere all'arresto del pontefice; per verità che quell'uomo non fu pari alla delicatezza del suo mandato; e Pio VI, nel modo onde si comportò con colui, diede prova di una dignità che sembrò persino una deviazione dall'indole sua; ma sempre avviene che chi non sa usufruttare della buona causa, costituisce in un'apparenza di ragione anche chi è dalla parte del torto.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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