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      Il primo a dare lo strano esempio fu l'architetto Barbera, che comparve togato in pubblico, accompagnato dalle sue tre figlie avvolte nel peplo, dichiarando di rinunciare da quell'ora alla propria parentela, e di voler essere chiamato Ctesifonte.
      Bastò quell'esempio perchè, con una rapidità impossibile a qualunque impresario o coreografo o vestiarista di teatro, si producesse per le vie e per le piazze la storia romana antica. Coloro che credevano di assimigliare piuttosto a questo che a quel personaggio dell'antichità, si mostravano in piazza ad arieggiarne il gesto, l'incesso, la dignità. Chi aveva i capelli neri e crespi e la barba spessa, invadente le guancie fin sotto gli occhi e vantava l'ampia persona, era Muzio Scevola, senza tante titubanze; chi aveva la chioma fulva e foltissima oltre il consueto, e la barba intera e inanellata, si nominava Lucio Vero, senza farsi pregare; si videro Collatini e Lucrezie in buon dato; e Gracchi non pochi e Cornelie di convenzione, e Clelie e Tullie e Tulliole con pepli indulgenti e coscie e popliti in voluttuosa trasparenza, e braccia nude fin sopra la spalla. Di Bruti poi, così della prima che della seconda qualità, ovverosia così di Giunii che di Marchi, l'assortimento era così vario e numeroso, da poterne fare un emporio per tutti i casi futuri. Ma, nemmeno a pagarli a peso d'oro, si sarebbe potuto trovare nè un Giulio Cesare, nè un Augusto; erano merce proibita, e guai a cui si fosse attentato di passeggiare in piazza tramutato in que' personaggi.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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