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      Che più? Allo stesso fondatore di Roma, che è tutto dire, non fu fatto buon viso; e il primo Romolo che si lasciò vedere in piazza Navona, per la gran ragione di essere stato il primo dei re, fu colto a fischi e preso a torsi di cavolo, peggio di un tenore stonato; tanto che di tutta fretta rifugiatosi in una bottega, e per di là passato a casa sua, ricomparve il giorno dopo in costume di Mario. Nè codesta fantasmagoria rappresentata in piazza con intento serio e colla ferma fiducia di onorare e puntellare e difendere la patria, deve parere una cosa inverosimile ai lettori che vivessero nel 48, e furono a Milano e a Venezia; e videro giustacuori e batticuli e maglie del Quattrocento; e tôcchi e robe del Cinquecento; e gorgiere e mantellette e brache e stivali del Settecento; e spadoni e manopole ed elmi tolti a polverose armerie.
      Che se a Roma Marforio e Pasquino eccitavano la pubblica ilarità, rivelando che il tale passeggiava in piazza portando l'elmo involato alla guardaroba del teatro Valle o Tordinona, e che già avea posato sulla testa del castrato Crescentini negli Orazj e Curiazj di Cimarosa, o nell'Attilio Regolo di Jomelli; che il tal altro cingeva la spada cinta già dalla mima Pitrot nelle Amazzoni del coreografo Ferlotti, ecc., ecc.: questi scandali si rinnovarono precisamente ai giorni nostri, con qualche cosa di più saporito ancora; perchè lo scrivente si ricorda benissimo di aver veduto un impresario, nominatosi da sè stesso colonnello, passeggiare in piazza San Marco con spallini dorati e galloni doppj e tripli, facendo battere sul lastrico la sciabola stessa che pochi giorni prima al San Samuele aveva adoperato il conte d'Almaviva per spaventare don Bartolo; e abbiamo visto un duce improvvisato di trenta improvvisati eroi sedere al caffè coll'elmo crestato di un Nabuccodonosor che già avea tuonato in teatro col Treman gl'insani di Verdi; ma purtroppo codesti scandali che offendono la maestà dei grandi avvenimenti sono malattie inevitabili dei popoli che, tenuti in lunghissima schiavitù, vengono assaliti da una specie di capogiro nel respirare le prime aure della libertà; come chi rimasto a lungo nell'oscurità della prigione, ha offesa la vista dalla repentina luce, o avendo lo stomaco estenuato dall'imposto digiuno, sente sconvolgersi dal primo vino a morbosa ubbriachezza.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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