Ma noi ci siam recati a bella posta sul luogo, come un ingegnere di campagna, per verificare co' nostri occhi se davvero il Tevere avesse assunto le passioni e i dolori di un poeta sentimentale; ma possiamo assicurare che il Tevere, nei diciotto secoli che sono decorsi, non ha fatto altro che rimanere un fiume, e non sentì nessuna vergogna, forse presago del possibile risorgimento della sua città; e non si ritirò in nessun angolo e non diventò più piccolo. Visto dal ponte Elio e dal ponte Senatorio, è ancora il più maestoso fiume d'Italia che attraversi una città. A ripa Grande, la selva delle antenne e il biancheggiar delle vele e i fumi densi delle vaporiere lo fanno parer davvero un porto di mare; il che è ben altra cosa dall'esser ridotto un rigagnolo avvilito, non visitato che dalle lavandaje!
Diciam questo perchè quei che si impennarono alla idea di dover portare la capitale a Roma, e la chiamarono un'idea stracca di rettorica ammuffita, e una specie di regresso al paganesimo e al classicismo spento; e credettero opporsi e vincer l'onda impetuosa di tutta Italia concorde nel tendere le braccia affannate alla sua capitale, potrebbero inorgoglire e fidarsi d'aver un confederato onnipotente in Chateaubriand, che vedeva anche il Tevere impicciolito.
Ma Roma dissanguata dal malgoverno, nella sua terza parte abitata ha ancora più di 200.000 persone; e in pochi anni, sotto il nuovo sole della libertà e dell'indipendenza, espandendosi a riconquistare, per dir così, le parti desolate, potrebbe toccare facilmente la popolazione di 600.000 anime.
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