César, au nom des dieux, dans ton coeur oublies;
Au nom de tes vertus, de Rome et de toi-même,
Dirai-je, au nom d'un fils qui frémi et qui t'aime,
Qui te prefère au monde, et Rome seule à toi,
Ne me rebute pas!...
Il terz'atto adunque, fino a questo punto, piacque assai più degli altri due, e lo spirito repubblicano si era talmente impadronito di tutti gli spettatori, che anche alcuni patrizj delle più illustri case di Roma, e che non era usciti senza fede in nessun Dio, ma per non sapere a che appigliarsi; anche qualche dotto memore ancora della protezione pontificia e cardinalizia; anche qualche pagnottista, di quelli che hanno l'intelletto e il cuore nel ventre, pur si sentirono scossi a quelle parole; e colti all'improvviso in quel momento, e costretti a votare, certo avrebbero messa la palla bianca nell'urna repubblicana. Se non che, tutto questo entusiasmo finì per produrre un uragano, non molto piacevole al capocomico Rosier e all'appaltatore.
Come fu già detto, dal palazzo Spada era stata trasportata sulla scena, che rappresentava il Campidoglio, la statua di Pompeo.
La parte men colta del popolo, la quale costituiva, com'è naturale, i quattro quinti del pubblico, non avendo letto prima la tragedia di Voltaire, credeva, e per verità ne aveva tutte le ragioni (chè per una semplice esposizione poteva bastare il palazzo Spada), che la statua di Pompeo non a caso fosse stata trasportata sul palco; e però, nell'estrema accensione della sua ira repubblicana, aveva rivolta tutta l'aspettazione al momento in cui i congiurati avrebbero trafitto il tiranno, ed esso, dignitosamente avvolto nella toga, sarebbe caduto a' piedi del simulacro del rivale.
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