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      Dei senatori si distinguevano Veneri, Boara, Prina, Borioli arcivescovo d'Urbino, giovane di bell'aspetto, trasmutato nelle vesti in modo che di vescovile non mostrava più nulla se non forse il bianco della camicia trinata; Boara e Brême portavano il gran cordone della corona di ferro. Cavalieri recentissimi erano il marchese Trivulzi, il cugino del ministro Prina, che era provveditore del liceo di Novara, il ciambellano Martinengo, i professori Borda e Tamburini brevettati tutti nella grande sfornata dell'ottobre 1809, insieme con tanti altri che avevano avuto il merito di essere arrivati in tempo. A costoro e dalla sala e dalle tribune guardava la curiosità maschile; ma la femminile pareva concentrasse il fuoco collettivo delle sue pupille sull'alta maestosa figura del pittore Giuseppe Bossi, che in assisa di panno color caffè a bottoni d'acciajo volgeva la parola ad un ometto piccolo, tutto vestito di nero con eletta semplicità.
      Il pittor Bossi poteva contare trentadue anni, e quantunque fosse tanto trasandato nel vestito, che comunemente lo chiamavano il foldone, era caro alle dame; caro tanto, che i mariti ringhiavano sordamente alla sua comparsa come cani sospettosi. Ma egli era bello di una bellezza all'antica, in istile greco-romano. Portava i capelli alla brutus, fitti, lunghi, ricci, fulvo-cupi, cadenti a ciocche pittoresche sulla fronte fino a toccare la regione dei sopraccigli, che aveva folti e piegati in così elegante arco, come se Fidia ci avesse messo lo stecco.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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