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      Era sempre l'orgoglio che lavorava; era il tormento del primato. Il conte poneva lo sguardo alla futura sua sposa, press'a poco come un bibliomane lo pone a un libro, che è avido di acquistare non già per la materia che contiene, nè per il pregio del dettato; ma perchè sa che dell'edizione principe, fatta in pochi esemplari e involata dal tempo, è l'unico che sia rimasto. Quando una ragazza che va a marito è destinata a far la figura di un libro in cartapecora, il lettore può ben comprendere che nemmeno la prima luna abbonderà di miele.
      Ora, per disgrazia della giovinetta, il signor conte Aquila, ricco di tutte le doti che possono rendere appetitoso uno sposo, più ai padri e alle madri, già s'intende, che alle figliuole, chiese la mano di lei, che senza un ostacolo al mondo gli venne concessa dai parenti, e così fu conchiuso e stretto il matrimonio; matrimonio modello, perchè, come un contratto di compra e vendita, come un atto ipotecario, come un passaporto, recava tutte le firme e tutti i bolli voluti dall'autorità.
      Gli uomini che portarono dalla natura il dispotismo e la gelosia, ed hanno sì poca fiducia nelle donne, che se la civiltà lo permettesse, adotterebbero volentieri il sistema orientale degli eunuchi custodi e spie; o rimetterebbero in vigore le consuetudini dei baroni del medio evo, che chiudevano sotto chiave la fedeltà muliebre, hanno sempre fatto malissimo i loro conti. Essi non hanno pensato, che non è il possesso materiale della donna che importa; ma il suo affetto.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





Aquila