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      D'altra parte, dal rimprovero non scaturiva un rimedio.
      Dopo questo caso funesto, la contessina Amalia sentì nascersi in cuore un'irresistibile avversione; per il conte, prima, non aveva provato che rispetto, stima, soggezione, amore non mai; nemmeno quell'attrazione istintiva e, quasi a dire, meccanica, che una giovinetta può sentire qualche volta per un uomo giovane perfettamente costituito. In ogni modo quando, dopo qualche tempo, venne diminuendo in lei il rammarico per la morte dell'unico figliuolo, diminuì anche l'avversione. Le rimase però nell'animo quanto basta per renderle incresciosa la vita maritale. Nè il conte desisteva dal suo contegno ottomano; la contessina era tenuta in casa il più del tempo; quand'ella riceveva visite così d'uomini come di donne (e a ciò v'era l'ora stabilita), egli non la lasciava mai sola; segnatamente colle donne, che dal punto di vista dei cattivi consigli e delle tentazioni, ei credeva assai più pericolose degli uomini stessi; e in questo non aveva forse torto. Quand'ella poi usciva di casa senza il signor consorte, per l'igienica necessità da lui ben compresa di cambiar aria, c'era l'obbligo della carrozza. Guai s'egli avesse saputo che, per snodare un po' le gambe, ella avesse osato far qualche passo nei pubblici giardini o sulle mura!
      Per questa operazione era indispensabile l'accompagnatura maritale. Il tempo però, che cambia tutte le cose di questo mondo, e induce qualche lassitudine perfino negli uomini più rigidi e più tenaci, allentò le redini anche nelle mani del conte.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





Amalia